Costruire una solidarietà globale per l’abolizione del nucleare

08/09/2009

proposta di Daisaku Ikeda 8 settembre 2009

 

Se le armi nucleari sono la massima rappresentazione delle forze in grado di dividere e distruggere il mondo, esse possono essere neutralizzate solo dalla solidarietà dei cittadini comuni, che ha il potere di fare della speranza una forza irresistibile che trasforma la storia. Albert Einstein (1879-1955), uno dei più grandi fisici del ventesimo secolo, riteneva di aver compiuto il più grave errore della sua vita il giorno in cui aveva scritto al presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt (1882-1945) informandolo del rischio che i nazisti sviluppassero un’arma atomica e sollecitandolo a rispondere rapidamente a quella minaccia.

Nel 1929 Einstein aveva dichiarato: «Rifiuterei con decisione qualunque incarico legato direttamente o indirettamente alla guerra […] a prescindere dalle ragioni a supporto della guerra».1 Tuttavia i suoi sentimenti pacifisti furono travolti dal peso della logica militare. Ciò che alla fine, circa dieci anni dopo, lo convinse a scrivere a Roosevelt – dietro consiglio di un suo collega scienziato – fu una profonda sensazione di paura e di ansia per le conseguenze che il mondo avrebbe dovuto subire nel caso che un’arma atomica fosse caduta nelle mani dei nazisti. Comprendeva più di chiunque altro la potenziale capacità distruttiva delle armi nucleari, e un simile esito era per lui impensabile.

I fattori che in origine avevano spinto Einstein a scrivere quella lettera divennero irrilevanti quando la sconfitta della Germania nazista tolse agli alleati la motivazione per lo sviluppo delle armi atomiche. Ma il sollievo di Einstein fu di breve durata, perché le bombe atomiche furono presto usate contro le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Sconvolto e turbato, nell’ultima decade della sua vita Einstein continuò a sollecitare la comunità internazionale affinché abolisse le armi nucleari. Nel 1947 in un articolo sull’Atlantic Monthly scrisse: «Dopo la preparazione della prima bomba atomica non si è compiuto niente per rendere il mondo più sicuro rispetto alla guerra, mentre molto è stato fatto per incrementare la capacità distruttiva della guerra».2 Questo articolo fu scritto un anno dopo il fallimento, alle Nazioni Unite, dei negoziati per il Piano Baruch – una proposta per il controllo internazionale dell’energia atomica – e l’inaugurazione dei programmi di sviluppo delle armi nucleari di Gran Bretagna e Unione Sovietica. Tre volte nel suo articolo Einstein ripeté il suo esasperato avvertimento.

Per quanto riguarda me, il 1947 fu l’anno in cui incontrai il mio maestro di vita, il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda (1900-58). Arrestato per la sua resistenza al governo militarista giapponese durante la seconda guerra mondiale, Toda rimase fedele alle sue idee durante i due anni di prigionia, da cui riemerse dopo la guerra per mettersi alla testa di un movimento popolare per la pace.

Già nel 1949 avvertiva: «Se ci dovesse essere una guerra atomica, le popolazioni mondiali avrebbero un solo destino davanti a loro: quello della distruzione totale».3 Fece questa previsione subito dopo che l’Unione Sovietica aveva annunciato di aver collaudato la sua prima arma nucleare, seguendo l’esempio degli Stati Uniti. Sono passati sessant’anni da quando il mondo è entrato nell’era della contrapposizione nucleare, ma non è stata ancora presa alcuna misura fondamentale in risposta all’avvertimento di Einstein. Al contrario, la situazione sta diventando sempre più pericolosa.

Anche se dalla fine della guerra fredda la minaccia di una guerra nucleare globale è diminuita, il numero di stati che possiedono armamenti nucleari è quasi raddoppiato dall’entrata in vigore, nel 1970, del Trattato di non proliferazione nucleare (NPT, Nuclear Non-Proliferation Treaty). Nel mondo esistono ancora circa venticinquemila testate nucleari, e nello stesso tempo cresce il timore che la diffusione sul mercato nero dei materiali fissili e delle tecnologie per la produzione di tali ordigni possa scatenare l’incubo del terrorismo nucleare. Nel discorso pronunciato a Praga nell’aprile di quest’anno (2009, n.d.r.), il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha sottolineato la responsabilità morale che hanno gli Stati Uniti per essere stati l’unico paese ad aver concretamente usato un’arma nucleare, e ha espresso la sua determinazione a rendere possibile un mondo senza armi nucleari.
Il presidente Obama si è incontrato con il presidente russo Dmitrij Medvedev in aprile e poi in luglio: in tali occasioni i capi di stato hanno concordato le linee generali di un trattato sul disarmo nucleare che sostituisca il Trattato di riduzione delle armi strategiche (START I, Strategic Arms Reduction Treaty), in scadenza a dicembre.

Al vertice del G8 a l’Aquila è stata rilasciata una dichiarazione congiunta che esprime l’impegno a «creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari».4 Nel frattempo è stata fissata per il 24 settembre, nel corso dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, una riunione speciale del Consiglio di Sicurezza sulla non-proliferazione e il disarmo nucleare.
Questi sviluppi dimostrano che si sta avanzando verso una nuova direzione, verso nuove iniziative in grado di sbloccare l’attuale situazione di stallo. In conclusione, questi propositi riusciranno a creare nuove correnti davvero capaci di trasformare quest’epoca? La Conferenza di revisione quinquennale delle parti coinvolte nel Trattato di non proliferazione nucleare, fissata per maggio 2010, sarà fondamentale.
L’ultima Conferenza di revisione, svoltasi nel 2005, non ha prodotto risultati significativi, impantanata nel contrasto tra gli stati che sostenevano la necessità di dare la precedenza al disarmo e quelli che consideravano prioritaria la non-proliferazione.

Oggi alcuni segnali di compromesso, come la decisione di avviare i negoziati per un Trattato che proibisca la produzione di materiale fissile (FMCT, Fissile Material Cut-Off Treaty), presa quest’anno alla Conferenza sul disarmo (CD, Conference on Disarmament) a Ginevra, testimoniano il tentativo di evitare il ripetersi di tale fallimento. Questo cambiamento di clima, seppur apprezzabile, in sé non è sufficiente a dissipare le nubi nere dell’era nucleare. Dobbiamo affrontare la questione fondamentale, al di là di interessi politici o militari: fino a che punto l’esistenza delle armi nucleari destabilizza il mondo e minaccia l’umanità.

Ora vorrei porre l’attenzione sulle parole dello storico britannico Arnold J. Toynbee (1889-1975). Nella sua opera A Study of History egli definisce la questione delle armi nucleari come «una sfida che non possiamo eludere»,5 sollecitando tutte le persone a reagire.

Tra il 1972 e il 1973, Toynbee e io ci incontrammo per portare avanti un dialogo che in seguito venne pubblicato in inglese con il titolo Choose Life. Rimasi profondamente colpito da una sua osservazione: egli dichiarò che i governi del mondo dovevano adottare un «veto autoimposto»6 riguardo al possesso di armi nucleari. In un’altra opera Toynbee descrisse l’impresa di reagire a tale sfida in questo modo: «La resistenza emotiva a questo rivoluzionario cambiamento di abitudini ormai radicate e a questa dolorosa rinuncia a istituzioni familiari dovrà essere superata grazie a una auto-educazione; nell’era atomica non si possono introdurre cambiamenti con la forza. I nodi si devono sciogliere con dita pazienti e non con un taglio netto».7

Finora l’umanità è riuscita a evitare la catastrofe della guerra nucleare su vasta scala. Oggi però siamo di fronte a una serie di elementi destabilizzanti e quindi vorrei invitare i capi di tutti gli stati in possesso di armamenti nucleari, o la cui sicurezza nazionale dipende dalle armi nucleari di altri stati, a porsi queste domande: Le armi nucleari sono davvero necessarie? Perché dobbiamo mantenerle?

Cosa giustifica lo stoccaggio di armi nucleari da parte della nostra nazione, dato che ci opponiamo se a possederle sono altri stati? L’umanità non ha davvero altra scelta che vivere sotto la minaccia delle armi nucleari?

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IMPARARE LA LEZIONE

Vorrei ora esaminare alcune lezioni della storia che potrebbero gettare una luce su queste domande, usando come concetto chiave l’idea di “auto-educazione” di Toynbee.

Per prima cosa vorrei ripercorrere i dilemmi e i dubbi che attanagliarono gli scienziati che lavoravano allo sviluppo delle prime armi nucleari, ed esaminare i modi in cui le persone hanno riflettuto su tali ordigni nel corso degli anni.

Anche se siamo gradualmente diventati indifferenti all’esistenza delle armi nucleari, dobbiamo ricordare che molti degli scienziati coinvolti nel loro sviluppo non ne accolsero bene la realizzazione, esprimendo profonde preoccupazioni e perplessità.

Nel dicembre del 1938, l’anno precedente allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel suo laboratorio di Berlino Otto Hahn (1879-1968) scoprì la fissione nucleare dell’uranio. Rendendosi conto delle spaventose possibilità di applicazione della sua scoperta, si dice che Hahn abbia preso in considerazione l’idea di gettare nell’oceano tutto il suo uranio e suicidarsi.

L’anno seguente, il 1939, Leo Szilárd (1898-1964) dimostrò la possibilità di produrre una reazione a catena di fissione nucleare, che era il passo successivo necessario alla produzione di una bomba atomica. Anche lui previde la tragedia, dichiarando in seguito: «Sapevo che il mondo era destinato al dolore».8
Nel 1942 gli scienziati dell’Università di Chicago produssero la prima reazione nucleare a catena controllata in una pila nucleare, facendo notevolmente progredire il Progetto Manhattan. Furono gli scienziati coinvolti in quello stesso lavoro a preparare in seguito la prima stesura di una petizione che sollecitava il presidente Harry S. Truman (1884-1972) a non usare la bomba atomica contro le città giapponesi, proprio mentre avevano luogo i preparativi finali per il primo collaudo della bomba atomica nel luglio 1945.

Nel gennaio del 1975, poco prima della fondazione della Soka Gakkai Internazionale (SGI), ho avuto l’occasione di visitare l’Università di Chicago.
Dopo aver incontrato il vice rettore e aver visitato la biblioteca, nell’attraversare il campus vidi un monumento che commemorava quel progetto di sviluppo nucleare. In quella circostanza meditai sull’angoscia che aveva tormentato quegli scienziati, e approfondii la mia determinazione a dare il mio contributo per arrivare all’abolizione delle armi nucleari. I miei sentimenti erano amplificati dal fatto che, proprio pochi giorni prima, avevo presentato alla sede delle Nazioni Unite a New York dieci milioni di firme per l’abolizione del nucleare, raccolte dalla Divisione giovani della Soka Gakkai in Giappone.

L’università di Chicago è sede dell’Orologio dell’Apocalisse, che rappresenta l’attuale stato della minaccia di una guerra nucleare globale.
Dobbiamo prestare ascolto alle preoccupazioni dei pionieri della scienza nucleare, riassunte nell’Orologio dell’Apocalisse: malgrado finora abbiano avuto scarsa risonanza, i drammi personali consumati dietro la storia del progresso nucleare meritano la nostra urgente considerazione. Richiedono la nostra attenzione anche le diverse reazioni dei capi di stato e di governo alle crisi che si sono verificate durante l’era nucleare: dalla loro esperienza e dal loro esempio si possono trarre importanti lezioni.

Negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale si sono verificate varie situazioni in cui è stato preso seriamente in considerazione l’uso delle armi nucleari. La più complessa è stata la Crisi dei missili di Cuba nell’ottobre 1962, che portò gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sull’orlo di una guerra nucleare totale.

Ciò che è straordinario, nell’atteggiamento adottato del presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy (1917-63) dopo la crisi di Cuba, è l’aver sottolineato l’importanza di superare ostilità e discriminazioni come presupposto per l’esplorazione delle possibilità di una coesistenza pacifica con l’Unione Sovietica.

Nel suo famoso discorso La strategia di pace, del giugno 1963, il presidente Kennedy si riferì alle accuse dei sovietici contro gli Stati Uniti: «È triste leggere queste dichiarazioni sovietiche, rendersi conto dell’ampiezza dell’abisso che ci separa. Ma è anche un avvertimento, un avvertimento per il popolo americano di non cadere nella stessa trappola dei sovietici, di non prendere in considerazione solo una visione distorta e disperata dell’altra parte, di non considerare inevitabile il conflitto, impossibile un accordo, e la comunicazione solo un semplice scambio di minacce».9

Se vogliamo sciogliere il nodo gordiano dell’era nucleare, credo che dobbiamo imparare dal messaggio di Kennedy a non farci offuscare lo sguardo dal pregiudizio e dai preconcetti. Ero profondamente convinto di ciò quando nel 1974 visitai la Cina e l’Unione Sovietica per incontrare i loro massimi esponenti politici, nello sforzo di allentare le tensioni che li dividevano. Come buddista che persegue un mondo di pace, credo che nessun popolo in nessuna nazione desideri la guerra, e mi sono impegnato con determinazione per costruire un ponte tra i due paesi.

Quando incontrai il primo ministro sovietico Aleksei N. Kosygin (1904-80) dopo la mia prima visita in Cina, discutemmo del duro assedio di Leningrado che egli aveva vissuto in prima persona. Allora gli raccontai che i rappresentanti cinesi che avevo incontrato avevano dichiarato che la Cina non avrebbe mai attaccato un altro paese. La Cina nutriva però preoccupazioni riguardo alle intenzioni dell’Unione Sovietica: il popolo cinese stava costruendo rifugi antiaerei sotterranei per difendersi dalla minaccia dell’attacco sovietico. Alla fine domandai: «L’Unione Sovietica ha intenzione di attaccare la Cina?».

Kosygin rispose che l’Unione Sovietica non aveva intenzione di attaccare né di isolare la Cina.
Poco dopo portai quel messaggio al gruppo dirigente cinese. In seguito visitai gli Stati Uniti, dove ebbi uno scambio di opinioni con il Segretario di stato Henry A. Kissinger sulle relazioni cino-americane e sullo status del Trattato sulla limitazione delle armi strategiche (SALT). Da quegli incontri imparai due lezioni: l’unico modo di comprendere a fondo l’intenzione altrui è condurre un dialogo aperto e sincero; per quanto possano essere difficili le circostanze, il dialogo può condurre a una svolta.

Anche se i due leader non riuscirono a raggiungere i loro obiettivi finali, credo che l’incontro tra il capo di stato sovietico Michail Gorbaciov e il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan (1911-2004) a Reykjavik, in Islanda, nell’ottobre del 1986, rappresenti un esempio straordinario dell’importanza di mantenere lo spirito del dialogo.

Quando, all’inizio di quell’anno, Gorbaciov propose un programma per arrivare all’abolizione totale del nucleare, Reagan rispose positivamente. I suoi consiglieri erano contrari a quella proposta radicale, ma lui li rassicurò: «Non mi sto ammorbidendo […]. Ma […] sogno un mondo privo di armamenti nucleari. Desidero in particolare che i nostri figli e nipoti siano liberi da queste terribili armi».10

Da parte sua Gorbaciov rimase profondamente colpito dal disastro di Chernobyl, che ebbe luogo quattro mesi dopo la sua stessa proposta e che rafforzò la sua determinazione a ottenere l’abolizione del nucleare.

Al vertice di ottobre i due capi di stato si impegnarono in un sincero scambio di vedute che portò vicino a un accordo di riduzione a zero dei loro arsenali nucleari nell’arco di dieci anni, quindi entro il 1996. Alla fine, comunque, non poterono concludere quello che sarebbe stato un accordo storico, perché non riuscirono a trovare un punto di incontro in merito al piano di difesa missilistico degli Stati Uniti, l’Iniziativa di difesa strategica (SDI, Strategic Defense Initiative), comunemente definito Scudo spaziale.

Nel gennaio del 2007 George P. Shultz, che in qualità di Segretario di stato di Reagan fu un testimone diretto al vertice di Reykjavik, si unì a Kissinger, William J. Perry e Sam Nunn nell’invocare «un mondo libero dalle armi nucleari» in un autorevole editoriale così intitolato e pubblicato su The Wall Street Journal. Dato il pericolo crescente della proliferazione nucleare, l’obiettivo della proposta era quello di prendere di nuovo in considerazione la visione di un mondo libero dalle armi nucleari definita e quasi raggiunta a Reykjavik.

Personalmente ebbi l’occasione di ascoltare i dettagli del vertice di Reykjavik direttamente da Gorbaciov durante un nostro incontro nel 2001: «Eravamo determinati a prendere l’iniziativa e a creare senza riserve un gruppo di dialogo a prescindere dalla posizione che avrebbero assunto gli Stati Uniti.
A essere onesti, già portare il governo sovietico a muoversi in quella direzione fu di per sé un compito estremamente oneroso. Ma il fatto che l’Unione Sovietica chiedesse il dialogo non aveva precedenti, e credo che ciò spinse anche il presidente Reagan a cambiare il suo atteggiamento».11

Credo che il vertice di Reykjavik abbia dimostrato la particolare importanza di tre elementi: una visione condivisa basata su una chiara consapevolezza della crisi; un’incrollabile determinazione a prendere l’iniziativa senza farsi scoraggiare dalla possibilità di essere rifiutati; un senso di reciproca fiducia sostenuto fino alla fine nonostante il difficile processo di negoziazione.

Invito i governanti mondiali a prendere a cuore queste lezioni, impegnandosi a liberare l’umanità dalla minaccia delle armi nucleari.

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UNA VISIONE PROFETICA

Nel discorso tenuto a Praga, il presidente Obama ha dichiarato: «Proprio come ci siamo battuti per la libertà nel XX secolo, ora, nel XXI secolo, dobbiamo lottare insieme per il diritto della gente di ogni luogo a vivere senza paura».12

In un’epoca precedente, quando la competizione per lo sviluppo di arsenali nucleari sempre più vasti e micidiali si andava intensificando, il mio maestro Josei Toda lanciò uno storico appello per l’abolizione delle armi nucleari. La sua dichiarazione partiva dalla prospettiva dei cittadini comuni, dalla consapevolezza della spaventosa minaccia che le armi nucleari rappresentano per la vita delle persone.

Toda pronunciò il discorso contenente questa dichiarazione solo sette mesi prima di morire, in un momento in cui la sua salute era estremamente compromessa. Era l’8 settembre 1957, esattamente cinquantadue anni fa da oggi [il giorno della presente Proposta,n n.d.t.], quando Toda si rivolse a un pubblico di circa cinquantamila persone, principalmente giovani, e dichiarò che l’obiettivo di eliminare tutte le armi nucleari dalla faccia della terra costituiva la principale indicazione per i suoi seguaci.

Alla luce della realtà di oggi, ritengo che dal suo discorso si possano estrapolare tre temi di particolare rilevanza: la necessità di una trasformazione della consapevolezza dei dirigenti politici; il bisogno di una visione chiaramente condivisa relativa alla messa al bando delle armi nucleari e la necessità di realizzare una “sicurezza umana” su scala globale.

Riguardo al primo tema, Toda dichiarò: «Noi tutti, cittadini del mondo, abbiamo un inviolabile diritto alla vita. Chiunque attenti a questo sacrosanto diritto è una incarnazione del male, un demone, un mostro».13 Si trattava di una straordinaria condanna dell’egoismo delle nazioni che sta alla base dell’impulso a sviluppare e possedere armi nucleari. Con questo linguaggio molto forte, Toda voleva dare uno scossone al modo di pensare dei politici più influenti e incoraggiare una trasformazione nella loro visione del mondo.

Anche se possiamo trovare sconcertanti espressioni come “incarnazione del male”, “demone” o “mostro”, il principale intento di Toda nell’uso di un simile linguaggio fu quello di mettere a nudo la natura aberrante della deterrenza nucleare, perché al centro della teoria della deterrenza c’è la disposizione fredda e inumana a sacrificare un grande numero di persone per ottenere la propria sicurezza personale o il predominio.
Nello stesso tempo Toda stava anche spingendo i dirigenti politici a riflettere sui propri presupposti e atteggiamenti mentali.Nello stesso anno in cui Toda formulò questa dichiarazione, Bertrand Russell (1872-1970), il filosofo britannico che fu cofondatore del Movimento Pugwash (Pugwash Conferences on Science and World Affairs),14 definì coloro che esercitano il potere sugli altri e li guardano dall’alto in basso come esseri «armati, simili a Giove, di un fulmine».15

Il filosofo buddista cinese del VI secolo Chih-i (il Gran Maestro T’ien-t’ai) descrisse coloro che sono posseduti dal desiderio di dominare gli altri con queste parole: «Sempre tesi a primeggiare, incapaci di tollerare l’inferiorità, scoraggiano gli altri e sopravvalutano se stessi».16
Il Buddismo descrive l’essenza della condizione vitale che vede tutto e tutti come un mezzo per la realizzazione dei propri obiettivi e desideri come uno stato in cui l’esistenza degli altri è ridotta a un dettaglio irrilevante, dove non si avverte la minima perplessità o esitazione a infliggere anche la sofferenza più terribile.

Lee Butler, il generale in pensione che dal 1992 al 1994 è stato responsabile del Comando strategico degli Stati Uniti, ha analizzato così la psicologia della struttura mentale di chi accetta le armi nucleari: «Attaccandosi ai concetti estremistici della deterrenza nucleare della guerra fredda si erode il rispetto per la vita che àncora il nostro senso di umanità».17

Joseph Rotblat (1908-2005), del Movimento Pugwash, è noto come l’unico scienziato che abbandonò il Progetto Manhattan, nonostante vi fosse coinvolto fin dalle prime fasi. Rotblat lavorò con la delegazione delle Isole Salomone per preparare la documentazione per una seduta pubblica che portò nel 1996 al parere consultivo da parte della Corte internazionale di giustizia (ICJ) sulla legalità della minaccia o dell’uso di armi nucleari.
Nella sua dichiarazione egli sottolineò: «La proprietà della pioggia radioattiva di estendere l’azione lesiva sia nello spazio sia nel tempo è una caratteristica nuova e peculiare della guerra nucleare. Non solo gli abitanti dei paesi in conflitto, ma praticamente l’intera popolazione del mondo, e i propri discendenti, rimarrebbero vittime di una guerra nucleare: in ciò sta il cambiamento radicale che le armi nucleari introducono nel concetto di guerra nel suo insieme».18

Avendo studiato l’impatto delle radiazioni sul corpo umano, e avendo parlato a nome delle persone esposte alla pioggia radioattiva ogni volta che gli stati nucleari avevano condotto esperimenti, egli si trovava in una posizione particolarmente appropriata per indirizzare questo avvertimento all’umanità intera.

L’incapacità di chi ha potere decisionale – e possiede anche la piena conoscenza delle conseguenze catastrofiche di una guerra nucleare – di riformulare l’attuale politica nucleare manifesta il fallimento dell’immaginazione e la totale mancanza di empatia verso coloro che potrebbero sperimentare la realtà di una guerra nucleare. È arrivato il momento di fare appello al coraggio necessario per disfarsi della dottrina della deterrenza, questo lascito negativo della guerra fredda, per consegnarla alla pattumiera della storia.

Il secondo tema della dichiarazione di Toda riguarda la sua asserzione dell’assoluta inammissibilità dell’uso delle armi nucleari, qualunque ne sia il fondamento logico o la giustificazione. Anche qui usa un linguaggio molto forte: «Propongo che l’umanità applichi la pena di morte contro tutti coloro che si rendano responsabili dell’uso di ordigni nucleari, anche se dovessero appartenere al paese vincitore di un conflitto».19

Come buddista, per il quale il rispetto per la vita è un principio essenziale, Toda si opponeva strenuamente alla pena di morte. In questo caso la sua invocazione della punizione capitale dovrebbe quindi essere considerata uno sforzo per minare ed estirpare la logica che giustifica l’uso delle armi nucleari.
Per Toda le armi nucleari, che essenzialmente minacciano il diritto dell’umanità alla sopravvivenza, rappresentavano un “male assoluto”. Era determinato a contrattaccare ogni tentativo di giustificarle come “male necessario”, il cui uso poteva anche essere visto come un’estensione della guerra tradizionale.

A quell’epoca il blocco orientale e quello occidentale erano impegnati in una guerra verbale diretta ai rispettivi arsenali nucleari. Toda cercò di confutare l’errore di base di un simile approccio; imparziale verso l’ideologia, denunciò allo stesso modo tutte le armi nucleari in nome dell’umanità. Durante la seconda guerra mondiale il mio maestro aveva resistito, con grandi costi personali, al militarismo giapponese, ed era convinto che nessun paese o popolo meritasse di essere vittima di una guerra. Era un difensore di ciò che definiva “nazionalismo globale”; il suo invito all’abolizione delle armi nucleari può essere inteso come una logica conseguenza di quel modo di pensare.

Negli anni successivi alla dichiarazione di Toda, la comunità internazionale espresse in numerose occasioni una posizione ugualmente inequivocabile contro le armi nucleari. Nel 1961, ad esempio, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione dichiarando che «qualunque stato che usi armi nucleari e termonucleari deve essere considerato uno stato che viola la Carta delle Nazioni Unite, che agisce contro le leggi dell’umanità e commette un crimine contro l’umanità e la civiltà».20
Più recentemente, nel 2006, la Commissione sulle armi di distruzione di massa (la Commissione Blix) offrì il seguente punto di vista nella sua relazione conclusiva: «La Commissione respinge il suggerimento secondo cui le armi nucleari nelle mani di alcuni non costituiscono alcuna minaccia, mentre nelle mani di altri mettono il mondo in una posizione di pericolo mortale».21

Finché permane l’idea secondo la quale è possibile distinguere tra armi nucleari “buone” e “cattive”, qualunque tentativo di rafforzare il regime di non proliferazione mancherà di legittimità e di forza di persuasione. La dichiarazione di Toda pone in grande rilievo tale questione critica.

Il terzo tema della dichiarazione di Toda viene delineato figurativamente mediante la seguente espressione: «Sebbene nel mondo stia prendendo forma un movimento per la messa al bando degli esperimenti sulle armi atomiche o nucleari, è mio desiderio andare oltre, attaccare il problema alla radice. Voglio denudare e strappare gli artigli che si celano nelle estreme profondità di simili ordigni».22

Dalla dichiarazione del mio maestro io ho compreso che gli “artigli nascosti” nelle armi nucleari rappresentano ogni concetto di sicurezza fondato sulla sofferenza e il sacrificio dei cittadini comuni. Toda ci sta esortando ad affrontare e a estirpare simili mentalità, perché altrimenti non sarà possibile alcuna soluzione.

Il danno prodotto da un qualsiasi scambio di ostilità con l’utilizzo di armi nucleari non sarebbe mai limitato alla nazione avversaria: tutti i paesi coinvolti sarebbero costretti a subire un ingente numero di vittime. Alla luce di questa realtà, qualunque richiamo alla “sicurezza nazionale” suona vuoto se necessita della carneficina delle stesse persone di cui dichiara di proteggere la vita e la sicurezza.

Anche quando non vengono impiegate le armi nucleari, i soli test espongono un grande numero di persone alle radiazioni, causando tumori letali e malattie genetiche. Situazioni analoghe, di impatto negativo sulla salute e sulla vita degli esseri umani, sono state osservate nei dintorni degli impianti per le armi nucleari in tutto il mondo.

La più profonda determinazione di Toda forse trova la sua massima espressione nella frase: «Desidero che non venga più usata la parola “infelicità” per descrivere il mondo, una nazione, un singolo individuo».23 Il suo invito all’abolizione delle armi nucleari rappresenta un’espressione condensata di tale decisione, ed è radicato in una prospettiva notevolmente affine al concetto ampiamente propugnato di “sicurezza umana”.

Questo approccio considera quale base necessaria per la stabilità e la pace alleviare la sofferenza ed eliminare l’infelicità dalla vita di ogni individuo. Ritengo particolarmente importante il fatto che Toda abbia sottolineato la necessità di eliminare situazioni di infelicità e miseria a tutti i livelli – personale, nazionale e globale – nello stesso modo.

In altre parole, la distruzione di qualunque nazione o stato è inaccettabile, anche se dovesse essere giustificata in quanto essenziale per il mantenimento della pace mondiale. Allo stesso modo il sacrificio di cittadini comuni non può essere tollerato in nome della garanzia della sicurezza di uno stato. Credo fermamente che sia compito comune a tutti i membri della famiglia umana identificare chiaramente l’errore di base in un simile pensiero ed «estirpare gli artigli che si celano nelle estreme profondità» della questione degli armamenti nucleari.

Toda concluse il suo appello con queste parole: «Chiedo a coloro che si considerano miei studenti e discepoli di ereditare lo spirito della dichiarazione che ho pronunciato oggi, e di far conoscere il suo contenuto in tutto il mondo».24
Queste parole, che quel giorno si impressero a fuoco nella mia mente, sono rimaste con me e hanno ispirato le mie azioni nei cinquanta e più anni che sono trascorsi da allora. Non ho mai, neanche per un solo giorno, dimenticato il suo energico invito ad agire, e ho lavorato incessantemente per creare un movimento di pubblica opinione favorevole all’abolizione del nucleare.

Nel 1960, due anni dopo la morte di Toda, gli sono succeduto come terzo presidente della Soka Gakkai, e nell’ottobre di quell’anno, portandomi una sua fotografia nel taschino interno della giacca, sono andato negli Stati Uniti.
Quello fu il primo di una lunga serie di viaggi che, negli anni, mi avrebbero condotto in giro per il mondo. Nel corso di quei viaggi ho incontrato i capi dei cinque stati che avevano dichiarato di possedere armamenti nucleari, segretari generali e altri funzionari delle Nazioni Unite, come anche numerosi studiosi e intellettuali. L’eliminazione delle armi nucleari e il raggiungimento della pace globale sono stati argomenti costanti dei nostri dialoghi.

Ho scritto inoltre delle proposte in occasione delle tre sessioni speciali sul disarmo dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (1978, 1982 e 1988), nella speranza di contribuire al loro successo. Dal 1983 sono autore di una Proposta di pace annuale, presentata ogni anno il 26 gennaio per celebrare la fondazione della SGI. Anche in questo caso l’abolizione del nucleare è stata un riferimento costante.
Nel 1996 ho fondato l’Istituto Toda di studi politici per la pace (Toda Institute for Global Peace and Policy Research), che si adopera per rendere effettiva la visione di Toda e farne il fulcro centrale di una rete di ricerca per la pace orientata alle persone. L’Istituto Toda ha fatto dell’abolizione delle armi nucleari uno dei suoi principali progetti di ricerca, tenendo conferenze e pubblicando atti sull’argomento.

In quanto movimento di cittadini comuni, la SGI si è impegnata in un’ampia serie di attività per far conoscere a un vasto pubblico la natura inumana e il pericolo insito nelle armi nucleari.

Nonostante l’esistenza ininterrotta di questa minaccia – l’ombra della morte violenta gettata in ugual misura sull’intera umanità – raramente essa viene avvertita come una realtà concreta perché è in gran parte invisibile, relegata in una sfera inconscia. Nelle nostre iniziative per sostenere l’abolizione del nucleare, la SGI ha considerato come priorità assoluta infrangere questa barriera di elusione inconsapevole.

A questo fine abbiamo organizzato la mostra Armi nucleari: minaccia per il nostro mondo, che fu lanciata nel giugno del 1982 a sostegno della Campagna mondiale per il disarmo delle Nazioni Unite. Da allora la SGI ha organizzato numerose mostre su questo tema, visitate da molte persone in tutto il mondo, comprese quelle che vivono negli stati nucleari. Negli ultimi anni abbiamo intrapreso attività che cercano di promuovere la consapevolezza dei cittadini a supporto del disarmo e dell’educazione alla non proliferazione, secondo l’appello lanciato dalle Nazioni Unite.

Fortemente convinti che sia essenziale che la popolazione mondiale si impegni e si unisca a livello globale per ottenere un mondo senza armi nucleari, nel 1997 e nel 1998 i membri della SGI hanno raccolto tredici milioni di firme per la campagna “Abolition 2000”, e le hanno presentate alle Nazioni Unite nell’ottobre del 1998. In una proposta sulla riforma delle Nazioni Unite scritta nell’agosto del 2006 ho richiesto l’istituzione di un Decennio dei popoli per l’abolizione del nucleare.
Nel settembre del 2007, nel cinquantesimo anniversario della dichiarazione di Toda, la SGI ha inaugurato il Decennio con una nuova mostra che sfida la logica delle armi nucleari dalla prospettiva della sicurezza umana. Da allora, la mostra Da una cultura di violenza a una cultura di pace: trasformare lo spirito umano è stata visitata in numerose sedi in tutto il mondo.

Con lo stesso fine abbiamo realizzato a scopo educativo un DVD in cinque lingue che documenta le esperienze di alcuni sopravvissuti alla bomba atomica, Testimoni di Hiroshima e Nagasaki. Le donne parlano a favore della pace. Inoltre intendiamo produrre dei DVD che registrino la testimonianza di persone in tutto il mondo le cui esistenze sono state condizionate dall’esposizione a radiazioni di livello tossico.

Così abbiamo agito negli ultimi cinquant’anni per diffondere nel mondo lo spirito che animava l’appello di Toda per l’abolizione del nucleare, generando un movimento di opinione pubblica che ne facesse lo spirito dominante della nuova era. Siamo determinati a continuare a costruire una solidarietà globale con l’obiettivo di realizzare un mondo libero dalle armi nucleari.

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UN PROGETTO IN CINQUE PARTI

Sulla base dei miei numerosi anni di esperienza in questo campo, mi risulta chiaro che sta emergendo una nuova confluenza di forze. Infatti, oltre ai movimenti per l’abolizione del nucleare nati dalla tradizionale prospettiva pacifista, ora sentiamo voci che reclamano un mondo senza armi nucleari basandosi su una valutazione “realistica” dei pericoli connessi e che provengono dall’interno degli stessi stati nucleari. Come ha sottolineato recentemente Henry Kissinger, la collaborazione tra le persone che si riferiscono a questi due approcci potrebbe produrre un nuovo slancio verso l’abolizione del nucleare.

Sono convinto che una visione chiara, una determinazione incrollabile e un’azione coraggiosa costituiscano i fattori cardine di una collaborazione efficace, e partendo da ciò vorrei formulare le proposte che seguono.

Credo che sia possibile gettare le fondamenta di un mondo senza armi nucleari nei prossimi cinque anni, da qui al 2015, e a questo scopo propongo un piano in cinque parti.
Io invito:

1. I cinque stati che hanno dichiarato di possedere armamenti nucleari ad annunciare il proprio impegno per una visione comune di un mondo senza armi nucleari durante la Conferenza di revisione del NPT del prossimo anno e a intraprendere subito passi concreti per realizzarla.

2. Le Nazioni Unite a costituire un gruppo di esperti di abolizione del nucleare, rafforzando le relazioni di collaborazione con la società civile nel processo di disarmo.

3. Gli Stati coinvolti nel NPT a rafforzare i meccanismi di non proliferazione e a eliminare gli ostacoli all’eliminazione delle armi nucleari entro l’anno 2015.

4. Tutti gli stati a collaborare attivamente per ridurre il ruolo delle armi nucleari nella sicurezza nazionale e a proseguire su scala globale verso la costituzione di accordi di sicurezza non basati sulle armi nucleari entro l’anno 2015.

5. La popolazione mondiale a manifestare con chiarezza la propria volontà di messa al bando delle armi nucleari e a stabilire, entro l’anno 2015, la regola internazionale che costituirà la base per una Convenzione sulle armi nucleari (NWC, Nuclear Weapons Convention).

1. Una visione comune

Il primo elemento è l’annuncio di una visione comune di un mondo senza armi nucleari da parte dei cinque stati detentori di armi nucleari durante la Conferenza di Revisione del NPT del 2010 e l’avvio immediato di passi concreti per la sua implementazione.

Nonostante la struttura selettiva del NPT, in esso sono coinvolti molti dei paesi non nucleari; la sua importanza fu riconosciuta nel 1995, quando fu esteso senza limitazioni. Ciò riflette la valutazione, formulata dagli stati non nucleari, secondo la quale i loro stessi interessi di sicurezza, e la causa della pace mondiale, sono meglio salvaguardati dalla rinuncia permanente all’opzione di possedere armi nucleari, una scelta basata sulla promessa degli stati nucleari di procedere al disarmo.

Per troppo tempo, tuttavia, gli stati che possiedono armi nucleari sono stati inadempienti nei confronti dei propri obblighi di disarmo. Questo atteggiamento, insieme agli sforzi da parte di alcuni stati di sviluppare armi nucleari, ha minato la fiducia necessaria a ottenere la cooperazione internazionale sulla non proliferazione nucleare.
Perciò i quattro statisti americani che insieme hanno lanciato un appello per un mondo senza armi nucleari negli editoriali del The Wall Street Journal hanno avvertito: «Senza la visione di un loro azzeramento, non troveremo la cooperazione essenziale necessaria per fermare la nostra spirale discendente».25

Se alla Conferenza di revisione del NPT del 2010 i cinque stati possessori di armi nucleari si impegneranno pubblicamente a realizzare un mondo senza armi nucleari, la loro azione coraggiosa verrà ricompensata da una rinnovata fiducia da parte della popolazione mondiale, che a sua volta incoraggerà un progresso sinergico verso il duplice obiettivo della non proliferazione e del disarmo.

Inoltre le cinque nazioni dotate di armi nucleari dovrebbero intraprendere i seguenti passi concreti. Dovrebbero impegnarsi per una sospensione di ogni futuro sviluppo o aggiornamento delle armi nucleari, per una trasparenza tangibilmente migliore riguardo ai loro potenziali nucleari, e infine per operare valutazioni tese a stabilire il numero minimo totale di armi nucleari per poi procedere verso la loro completa abolizione.

Riguardo al primo di questi impegni, vorrei insistere con forza sul fatto che, oltre a ricercare una visione comune di un mondo senza armi nucleari, gli stati che le possiedono promettano di astenersi dall’ampliare o rinnovare i loro arsenali. È chiaro che il possesso di armi nucleari non ha altro scopo che istituire o mantenere una posizione di dominio rispetto agli altri stati. La promessa da parte degli stati dotati di armamenti nucleari di congelare i propri arsenali nel loro stato attuale si dimostrerebbe un primo atto significativo di auto-limitazione. Sono sicuro che un simile atto metterebbe fine con decisione a qualunque espansione di potenziale nucleare e costituirebbe un passo importante verso il superamento dell’impulso a dominare gli altri che Toda denunciò come un aspetto intrinseco delle armi nucleari.

Inoltre assicurare un alto grado di trasparenza alle potenzialità nucleari rappresenta un prerequisito importante per stabilire un programma che miri a un reale raggiungimento della loro abolizione. Come la storia dei negoziati sul disarmo tra Stati Uniti e Unione Sovietica rende evidente, è praticamente impossibile condurre un dialogo costruttivo senza una chiara comprensione della situazione attuale della controparte.
Sarebbe opportuno che gli stati dotati di armi nucleari, dopo aver annunciato una sospensione di ulteriori sviluppi, rivelassero con totale chiarezza entro un anno i propri potenziali al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Sarebbe poi necessario che ogni stato attuasse una revisione accurata e desse inizio a discussioni multilaterali riguardo al livello minimo di testate nucleari considerato essenziale in vista della loro completa abolizione. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite dovrebbe prendere parte a questi colloqui e, una volta stabilito un livello – ad esempio cento testate ciascuno – , questo dovrebbe essere fissato come obiettivo intermedio nel processo di azzeramento.

Tale obiettivo concreto fornirebbe una spinta importante verso una visione di un mondo senza armi nucleari e potrebbe fungere da “campo base” nella scalata verso la vetta dello zero. Queste azioni, insieme, rappresenterebbero uno sforzo in buona fede per realizzare «l’impresa esplicita da parte degli stati nucleari di realizzare la totale eliminazione dei loro arsenali nucleari…»26 che fu ribadita nella Conferenza di revisione dell’NPT del 2000.

Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale Einstein dichiarò: «Non abbiamo di fronte alcuna distanza che ci permetta di procedere poco a poco e di ritardare i necessari cambiamenti».27

I cinque stati dotati di armi nucleari ovviamente sono anche i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e quindi hanno un’importante responsabilità nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Ora è il momento che agiscano insieme per tenere conto di tale avvertimento, per sentire il pieno peso della loro responsabilità e per realizzare i “necessari cambiamenti” che il nostro mondo esige.

2. Un gruppo di esperti

La mia seconda proposta è che le Nazioni Unite creino un gruppo di esperti sull’abolizione del nucleare, rafforzando relazioni di collaborazione con la società civile nel processo di disarmo.

Nei primi anni ’90 fu creato un sistema in base al quale diversi governi lavorarono per sostenere lo smantellamento e la rimozione degli arsenali nucleari degli stati di recente indipendenza sorti in seguito al crollo dell’Unione Sovietica. Inoltre fu creato il Centro Internazionale per la Scienza e la Tecnologia (ISTC, International Science and Technology Center), incaricato di offrire a scienziati e ingegneri precedentemente coinvolti in attività legate alle armi di distruzione di massa l’opportunità di mettere le loro capacità al servizio di scopi civili. Quando tutti gli stati nucleari inizieranno un processo di disarmo teso all’obiettivo finale della scomparsa delle armi nucleari, la richiesta di questo tipo di sostegno sarà molto superiore a quella che fu sollevata sull’onda della dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Il gruppo di esperti di cui sto proponendo l’istituzione trarrebbe vantaggio dalla conoscenza e dall’esperienza del Comitato consultivo sulle questioni del disarmo che attualmente relaziona al Segretario Generale. Si dedicherebbe comunque in maniera specifica alle armi nucleari, includerebbe un’ampia varietà di specialisti sia interni che esterni al settore del disarmo e fornirebbe consulenza al Segretario Generale sulle misure, inclusi gli aspetti tecnici, necessarie per ottenere una completa abolizione del nucleare.

Oltre a questa funzione centrale proporrei altri tre incarichi per questo gruppo:
1) presentare relazioni periodiche sulla minaccia rappresentata dagli armamenti nucleari per incoraggiare l’opinione pubblica internazionale a favore dell’abolizione del nucleare, rendendola l’unica grande forza in grado di assicurare l’irreversibilità del processo di abolizione;
2) sostenere lo sviluppo di cure mediche più adeguate per coloro che nel mondo continuano a soffrire per gli effetti dell’esposizione a materiali radioattivi;
3) ricercare mezzi per stabilire un “accertamento sociale”, cioè un sistema con il quale i cittadini comuni di ogni paese possano monitorare l’osservanza da parte del loro governo degli obblighi e dei divieti legati al disarmo, riferendo qualunque violazione.

Nel creare un simile gruppo di esperti sarebbe auspicabile che il Segretario Generale si procurasse il sostegno non solo degli specialisti di disarmo dei vari paesi e delle organizzazioni internazionali, ma anche di ONG come il Movimento Pugwash, l’Organizzazione internazionale dei medici per la prevenzione della guerra nucleare (IPPW, International Physicians for the Prevention of Nuclear War), l’Associazione internazionale degli avvocati contro le armi nucleari (IALANA, International Association of Lawyers Against Nuclear Arms), la Rete internazionale di ingegneri e scienziati contro la proliferazione (INESAP, International Network of Engineers and Scientists Against Proliferation), come anche le istituzioni accademiche e di ricerche per la pace con conoscenze specialistiche e tecniche. L’Istituto Toda sosterrebbe completamente il lavoro di un gruppo di questo tipo, mettendo a disposizione i suoi risultati di ricerca più aggiornati e la sua vasta rete di ricercatori per la pace.

Nel 2010 il Giappone ospiterà un convegno internazionale sul disarmo nucleare. Spero vivamente che questa nazione diventi la forza trainante per arrivare alla formazione del gruppo che sto proponendo. Nel farlo, il governo giapponese dovrebbe collaborare con la Norvegia, che ha avanzato una visione simile, e la Gran Bretagna, che sta sottolineando l’importanza della ricerca relativa alla verifica dello smantellamento delle armi nucleari.

3. Rimuovere gli ostacoli

La mia terza proposta si riferisce agli strumenti per rafforzare i meccanismi di non proliferazione allo scopo di rimuovere gli ostacoli sulla strada dell’eliminazione delle armi nucleari. Come prima condizione, insisto fortemente sulla necessità della massima presenza possibile di capi di stato e di governo alla Conferenza di revisione del NPT del 2010. Sperando che siano presenti tutti i capi degli stati coinvolti nel NPT, proporrei di invitare anche i capi degli stati non coinvolti nel regime del NPT in qualità di osservatori, per diffondere sempre di più l’immagine della Conferenza di revisione come vertice globale sulle questioni nucleari.

Vorrei anche suggerire che la Conferenza istituisca un gruppo di lavoro permanente impegnato in consultazioni intensive con lo scopo di rafforzare la cooperazione internazionale per il disarmo e la non proliferazione nucleari nel periodo di cinque anni che ci separa dalla successiva conferenza di revisione, nel 2015. Sarebbe anche il caso di considerare l’opportunità di sviluppare, sulla base di questo gruppo di lavoro, un organismo permanente con poteri decisionali per la realizzazione degli obiettivi del NPT.

Per gettare le basi di un mondo senza armi nucleari è importante analizzare criticamente la reale natura delle minacce che sono state usate per giustificare la deterrenza e quindi lo sviluppo e il possesso delle armi nucleari nel corso degli anni. Ciò apporterà una maggiore chiarezza su come rispondere nel modo più efficace alle differenti minacce.

Con la fine della guerra fredda è diventato praticamente impensabile che tra i cinque stati possessori di armi nucleari uno possa usare quelle armi contro un altro.
Di conseguenza, le giustificazioni al possesso di armi nucleari che continuano a essere addotte in genere ricadono nelle seguenti tre categorie:
1) scoraggiare l’uso di armi nucleari da parte di uno stato intenzionato a minacciare lo stato detentore o uno stato suo alleato;
2) prevenire o scoraggiare programmi di sviluppo di armi nucleari che possano condurre alla proliferazione nucleare;
3) prevenire o scoraggiare il terrorismo nucleare da parte di soggetti extra-statali.

Il primo caso richiede un attento esame, che proverò a esporre qui di seguito nella mia quarta proposta. Gli esperti considerano invece il secondo e il terzo caso difficilmente riconducibili all’uso o alla minaccia di uso di armi nucleari.

In relazione a questi tipi di minaccia, piuttosto che incrementare il potenziale nucleare deterrente sarebbe sicuramente più efficace cercare di cambiare il comportamento degli altri stati modificando per primi le proprie posizioni e le proprie politiche. Attraverso un simile impegno, gli stati possessori di armi nucleari dovrebbero cercare di portare all’interno di un sistema di non proliferazione ampliato e rafforzato le potenze nucleari attualmente fuori dal regime NPT e quei soggetti le cui intenzioni sono sospette. Attraverso iniziative di questo tipo si possono rafforzare anche le strutture internazionali per la prevenzione della diffusione delle tecnologie nucleari e dei materiali fissili, allo scopo di tenerli fuori dalla portata dei terroristi.

In questa circostanza, poche azioni possono assumere un peso simbolico maggiore, o rappresentare un indizio più potente di auto-trasformazione, della ratificazione del Trattato per la messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT).
Il presidente Obama ha dichiarato che richiederà tale ratificazione da parte del Senato americano. Un successo di questo tipo aumenterebbe notevolmente la probabilità che anche la Cina lo ratifichi. Una ratificazione da parte degli Stati Uniti e della Cina servirebbe da incoraggiamento per l’India e il Pakistan affinché firmino o ratifichino anch’essi, portando il trattato a un passo dalla sua entrata in vigore. Simili cambiamenti incoraggerebbero Israele e Iran, che devono ancora ratificare, e la Corea del Nord, che deve ancora firmare il CTBT, a intraprendere nuovi passi coraggiosi.

Se dovesse avere inizio una reazione positiva lungo queste direttrici, si getterebbero le basi per un regime di non proliferazione che includerebbe tutti gli stati, compresi quelli che al momento si trovano fuori dal sistema NPT.

Oltre all’obiettivo dell’entrata in vigore del CTBT, diverse misure possono avere un’influenza sia sostanziale sia simbolica. Queste comprendono la pronta conclusione del Trattato per il divieto della produzione di materiale fissile (FMCT), che porrebbe la circolazione del combustibile nucleare sotto il controllo internazionale e incoraggerebbe una successiva ratificazione della Convenzione sul terrorismo nucleare. Altrettanto importante, a mio avviso, è la completa smilitarizzazione dello spazio, come anche le misure per incrementare l’efficienza energetica e incoraggiare l’uso di fonti di energia rinnovabili.

Ora, di fronte all’aumento della richiesta di energia a livello globale, e con lo scopo di ridurre le emissioni dei gas serra, si è verificata un’espansione degli impianti per la produzione di energia nucleare e molti paesi stanno considerando l’adozione di questo tipo di energia. Ciò ha portato a un inevitabile aumento di preoccupazione circa la proliferazione delle armi nucleari e la minaccia del terrorismo nucleare.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha espresso la propria preoccupazione sul rischio che un “rinascimento nucleare”28 possa introdurre nuovi elementi destabilizzanti nel mondo. Da questa prospettiva sembra chiaro che, oltre a rafforzare le capacità di monitoraggio dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA, International Atomic Energy Agency), la cooperazione internazionale sulla politica energetica – il sostegno all’introduzione di fonti di energia rinnovabile e l’incoraggiamento alla diffusione di tecnologie per l’efficienza energetica – potrebbe aiutare a rafforzare i baluardi contro la proliferazione delle armi nucleari.

Simili misure dovrebbero essere comprese negli argomenti prioritari delle attività del gruppo di lavoro permanente che propongo sia istituito nella Conferenza di Revisione NPT del 2010, e spero che tale gruppo di lavoro si impegni in discussioni concrete nei cinque anni che intercorrono prima della successiva conferenza di revisione del 2015. A questo scopo è necessario che venga rafforzato l’Ufficio delle Nazioni Unite per le questioni del disarmo (UN Office for Disarmament Affairs), che al momento funge da segretariato per il NPT.

 

4. Una sicurezza denuclearizzata

Secondo la mia quarta proposta, tutti i paesi dovrebbero coordinare le loro azioni per ridurre attivamente il ruolo delle armi nucleari nelle strategie di sicurezza nazionale in modo da facilitare il passaggio a una teoria e a una pratica della sicurezza che non si basino sulle armi nucleari.

Nel suo discorso pronunciato a Praga, il presidente Obama ha annunciato la riduzione del ruolo delle armi nucleari nella strategia di sicurezza degli Stati Uniti e ha esortato le altre nazioni a fare lo stesso. Dichiarando che ciò è necessario per porre termine al modo di pensare che aveva caratterizzato la guerra fredda, ha comunque riservato agli Stati Uniti il diritto di difendere se stessi e i loro alleati dalle minacce nucleari.

Riguardo a ciò non si deve trascurare un fatto cruciale: per sessantaquattro anni, dalla inconcepibile sofferenza causata dal bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, nessun capo di stato di nessun paese è stato capace di arrivare a usare davvero le armi nucleari.

A mio avviso questo indica che la soglia che frena l’uso delle armi nucleari, costituita da questioni morali e da altre considerazioni, è piuttosto alta; tra i capi di stato è gradualmente cresciuta la consapevolezza che le armi nucleari sono fondamentalmente inutilizzabili per ottenere obiettivi militari.
Credo che più della deterrenza sia stata quest’invisibile soglia morale e pratica a impedire l’uso delle armi nucleari nel corso degli anni.

Il fatto è che la grande maggioranza dei paesi non possiede armi nucleari né si affida al cosiddetto “ombrello nucleare” di uno stato che le ha; e tuttavia questi paesi in genere non sono mai stati minacciati da un attacco nucleare. Riducendo le tensioni regionali e stabilendo delle zone denuclearizzate, questi stati hanno compiuto sforzi costanti per alzare ulteriormente la soglia contro l’uso delle armi nucleari.

Quindi, per quanto riguarda la giustificazione ultima della deterrenza nucleare, si dovrebbe dare la priorità maggiore alla riduzione della percezione di una simile minaccia invece di reagire incrementando il proprio armamento nucleare. Questo tipo di condotta rappresenta la linea d’azione più realistica e insieme la più accettabile moralmente. Allo stesso modo, nel cercare di eliminare gli armamenti nucleari dal sistema di sicurezza, è fondamentale ricordare sempre che l’obbligo di realizzare un completo disarmo secondo l’articolo 6 del NPT non è limitato agli stati dotati di armi nucleari, ma vale anche per tutti gli stati parti del trattato.

Anche se uno stato detentore di armamenti nucleari dovesse cercare di ridurre il ruolo di quelle armi e, grazie a questo, raggiungere un significativo livello di disarmo, la sua azione risulterebbe più difficile se i suoi alleati richiedessero il mantenimento o il rafforzamento dell’ombrello nucleare. Una simile richiesta costituirebbe una violazione dello spirito del NPT.

Come è possibile quindi continuare a giustificare una “deterrenza estesa” come misura di sicurezza vitale e necessaria? [Per deterrenza estesa s’intende, da parte di una nazione dotata di armi nucleari, la minaccia di esercitare rappresaglia nucleare nei confronti di un attacco, non solo alla nazione stessa (deterrenza tout court) ma anche la minaccia di esercitarla nel caso di attacco a una nazione sua alleata. La deterrenza estesa, detta anche “ombrello nucleare”, viene interpretata da alcune nazioni in maniera così ampia da comprendere anche il caso di attacchi con mezzi “convenzionali”, n.d.t.].

È cruciale per gli stati nucleari e per i loro alleati discutere a fondo e con serietà riguardo a tale “deterrenza estesa”.
Insieme essi dovrebbero sviluppare delle alternative, a partire da misure efficaci per ridurre le tensioni regionali. Io per primo ho proposto un simile approccio circa dieci anni fa e oggi ripeto questo appello con rinnovata premura.

In Germania, paese che fu in prima linea nel braccio di ferro est-ovest durante la guerra fredda, sono stati lanciati appelli per una revisione dei sistemi di sicurezza basati sulle armi nucleari. Nel gennaio di quest’anno quattro importanti figure politiche, compreso l’ex presidente Richard von Weizsäcker e l’ex Ministro degli Esteri Hans-Dietrich Genscher, hanno fatto una dichiarazione che rispondeva agli editoriali di George Schultz e dei suoi coautori. Dichiarando che «le reliquie dell’epoca del braccio di ferro non sono più adeguate per il nostro nuovo secolo», essi patrocinano un «trattato generale tra gli stati dotati di armi nucleari che vieti loro di usarle per primi» e il ritiro di tutte le testate nucleari americane rimaste su territorio tedesco.29

Riportando lo stesso pensiero in un contesto diverso, sono persuaso che una chiara dimostrazione di volontà politica da parte degli Stati Uniti e del Giappone potrebbe trasformare la situazione nella zona nord-est dell’Asia, dove il persistente impatto negativo del modo di pensare proprio della guerra fredda è simboleggiato dalla situazione di stallo che fa da cornice al programma di sviluppo nucleare della Corea del Nord.

L’economista John Kenneth Galbraith (1908-2006) che, tra le altre responsabilità, fu un consigliere chiave del presidente Kennedy, nel corso del nostro dialogo condivise con me le seguenti idee relative ai ruoli e alle responsabilità rispettivamente del Giappone e degli Stati Uniti: «Dal Giappone mi aspetto un ruolo speciale di guida nel campo della pace. Nessun altro paese al mondo ha avuto la stessa esperienza di guerra […] nessun altro paese è altrettanto consapevole del significato e delle conseguenze del conflitto nucleare. Forse questa è una responsabilità particolare che spetta a Giappone e Stati Uniti. Sono gli unici due paesi nel mondo che hanno un passato di guerra nucleare. Insieme al Giappone, noi dovremmo essere […] una guida nello sforzo di garantire che l’umanità non sia più vittima di questo implacabile sterminio di massa».30

Come è stato detto in precedenza, la SGI ha prodotto un DVD che registra le esperienze di sopravvissuti ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, e ha messo queste interviste a disposizione su Internet. Ecco un estratto della testimonianza di una donna di Hiroshima: «Come sopravvissuta, mi sono chiesta cosa avrei dovuto fare della mia vita. Poi sono arrivata a percepire che il mio compito era comunicare gli orrori dell’attacco nucleare e condividere con le persone la mia sensazione di totale follia riguardo agli esseri umani che in guerra si uccidono a vicenda. Ora sento che questa è la ragione per cui sono viva».31

Ciò che traspare con grande forza e intensità dalle testimonianze di queste donne è l’ardente speranza che nessun altro debba mai sperimentare la sofferenza da loro subita. Questa stessa determinazione deve costituire la base di qualunque messaggio antinucleare trasmesso dal Giappone.

È moralmente inammissibile per il Giappone, l’unico paese ad aver sperimentato l’uso delle armi nucleari in guerra, rivedere i propri principi antinucleari (non possedere, non produrre e non permettere l’introduzione di armi nucleari nel proprio territorio), e ancor più prendere in considerazione l’idea di diventare uno stato nucleare. Io insisto affinché il Giappone confermi la sua adesione ai tre principi antinucleari e dichiari ancora una volta, con prontezza e decisione, che non possederà mai armi nucleari.

Sulla base di ciò, Giappone e Stati Uniti dovrebbero collaborare per risolvere la questione nucleare della Corea del Nord e costruire la pace nel nordest dell’Asia. Mi appello a tutti e sei i paesi attualmente impegnati nei colloqui sul programma nucleare della Corea del Nord – Cina, Giappone, Corea del Nord, Russia, Corea del Sud e Stati Uniti – affinché dichiarino il nordest dell’Asia regione denuclearizzata. Per molti anni ho esortato gli stessi paesi a creare nel nordest dell’Asia una zona denuclearizzata.

Un fattore che ha seriamente complicato la realizzazione di una zona di questo tipo è il fatto che tutti e sei i paesi possiedono armi nucleari o hanno allargato gli accordi di deterrenza con uno dei paesi possessori. Così, come primo passo verso la rottura di questa situazione di stallo, ritengo fondamentale offrire reciproci impegni a non impiegare armi nucleari contro gli altri, né a intraprendere azioni che aumentino la minaccia rappresentata da armi di distruzione di massa, e dare a questo impegno una forma istituzionale.

Tutti e sei i paesi sono coinvolti nel Trattato sulle armi biologiche; con l’eccezione della Corea del Nord, tutti sono parte in causa nel Trattato sulle armi chimiche. La Corea del Nord dovrebbe essere incoraggiata a entrare in quest’ultimo Trattato e a realizzare il suo impegno, annunciato quattro anni fa nella Dichiarazione congiunta rilasciata dopo i colloqui a sei, «di abbandonare tutte le armi nucleari e gli esistenti programmi nucleari».32 Contemporaneamente gli altri paesi dovrebbero impegnarsi e sostenere l’impegno a non usare le armi nucleari. Questo atteggiamento rappresenterebbe una base per il passo successivo.

Se si assumesse e si sostenesse un impegno di questo tipo, esso potrebbe fungere da punto di riferimento per l’Asia meridionale, il Medio Oriente e altre regioni dove non sono avvenuti significativi progressi in relazione alla creazione di zone denuclearizzate.

Sono persuaso che trasformare la struttura del confronto fra gli stati nel nordest dell’Asia e diffondere l’impegno a far sì che nessuna nazione o popolo cada mai vittima degli orrori delle armi nucleari devono essere gli elementi cardine del partenariato nippo-americano nel XXI secolo. Insieme, questi due paesi dovrebbero assumere la guida della creazione di un mondo privo di armi nucleari.

5. Bandire le armi nucleari

La quinta proposta che vorrei avanzare riguarda una chiara espressione, da parte dei popoli di tutto il mondo, della volontà di assistere alla messa al bando delle armi nucleari e la creazione, entro l’anno 2015, della norma internazionale che funga da base per il loro divieto.
Attingendo dall’opinione consultiva della Corte internazionale di giustizia (ICJ) del 1996 sulla legalità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari, nel 1997 l’IPPNW (International Physicians for the Prevention of Nuclear War) in collaborazione con altre due ONG stilò una bozza di Convenzione modello sulle Armi Nucleari (NWC) che proibisse lo sviluppo, il collaudo, la produzione, l’uso e la minaccia di usare le armi nucleari. Da allora la bozza è circolata in veste di documento delle Nazioni Unite. È stata rivista nel 2007 ed è stata sottoposta come documento operativo alla Commissione preliminare per la conferenza di revisione del NPT del 2010.

Aumenta il coro di appelli per la creazione di una norma internazionale chiara contro le armi nucleari, come dimostrato dalla dichiarazione rilasciata nell’ottobre scorso da Ban Ki-moon, in cui egli sottolineava l’importanza di quella bozza di convenzione. La SGI ha sostenuto fino a oggi, e continuerà a farlo, il movimento per lo sviluppo di un sostegno pubblico per l’adozione di una NWC, guidato dalla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN) del IPPNW.

Ciò che vorrei proporre qui è una campagna per offrire alle persone, a livello individuale, di comunità e nazionale, l’opportunità di esprimere il proprio desiderio di bandire queste armi inumane che minacciano il nostro diritto fondamentale di esistere. Questa iniziativa rinsalderebbe la norma internazionale che dovrebbe fungere da base per l’adozione di una NWC. Il preambolo della bozza di NWC si apre con le parole: «Noi popolo della Terra…»,33 chiarendo bene che la convenzione non è pensata come un semplice accordo tra stati ma deve essere adottata in nome di ogni singolo abitante della terra, espressione del comune desiderio di una coesistenza pacifica.

Il cammino per l’adozione di una NWC probabilmente sarà difficile. Ma invece di farci paralizzare dalle difficoltà, dovremmo agire ora per creare un trascinante movimento popolare di sostegno al divieto delle armi nucleari, così che diventi impossibile ignorare gli appelli per l’adozione di una NWC.

A questo proposito vorrei citare i commenti molto persuasivi di Rebecca Johnson, dell’Istituto per la Diplomazia del disarmo, nel suo articolo dal titolo Garanzie di sicurezza per tutti: «Il processo di stigmatizzazione e messa al bando dell’uso delle armi nucleari offre opportunità ai capi di governo coraggiosi di compiere passi unilaterali che aiutino a creare una norma multilaterale. Questa è un’importante iniziativa alla quale gli stati denuclearizzati – e quindi i cittadini e i movimenti pubblici – possono dichiarare il loro sostegno per aiutare a costruire una solida norma etica e a stabilire una tregua in cui possano avere luogo iniziative per il disarmo nucleare».34

In particolare, vorrei suggerire di dare avvio a un movimento di sostegno a una “dichiarazione per l’abolizione del nucleare da parte della popolazione mondiale” che potrebbe essere congiuntamente sostenuta da singoli, organizzazioni, gruppi spirituali e religiosi, università e istituti di ricerca, come anche da agenzie interne al sistema delle Nazioni Unite.

Se vogliamo lasciarci alle spalle l’era del terrore nucleare dobbiamo combattere contro il vero “nemico”. Quel nemico non sono le armi nucleari in quanto tali, né gli stati che le possiedono o le costruiscono. Il vero nemico da affrontare è il modo di pensare che giustifica le armi nucleari: l’esser pronti ad annientare gli altri qualora essi siano considerati una minaccia o un intralcio alla realizzazione dei propri interessi.

Questa è la nuova consapevolezza che tutti noi dobbiamo condividere, ed era a questa consapevolezza che il mio maestro Josei Toda si riferiva quando parlava di strappare gli artigli alla minaccia profondamente nascosta nelle armi nucleari, esortando a rendere lo spirito della sua dichiarazione noto in tutto il mondo. Era convinto che la condivisione di questo tipo di consapevolezza potesse essere la base per una solidarietà transnazionale all’interno della popolazione mondiale. Inoltre egli credeva che un cambiamento rivoluzionario nella coscienza dei singoli, diffondendosi in tutto il mondo, costituisse l’unica forza sufficientemente profonda e radicale in grado di porre fine all’era nucleare.
Quando la ICJ stava deliberando la sua opinione consultiva nel 1996 ricevette circa quattro milioni di “dichiarazioni di coscienza pubblica” in più di quaranta lingue, insieme alla dimostrazione di un ampio e diffuso rifiuto delle armi nucleari da parte dell’opinione pubblica; la ICJ prese in considerazione tali prese di posizione nel processo di raggiungimento della sua conclusione.

La SGI ha intenzione di consultarsi largamente con la società civile e con i rappresentanti degli stati per determinare il contenuto e la forma finale che dovrebbe avere una nuova dichiarazione. Noi vorremmo sottoporla all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite entro l’anno 2015 come importante documento di riferimento per la stesura del preliminare della NWC, affinché possa dare nuovo slancio alle negoziazioni per la NWC stessa.

Raccogliere sostegno per questa dichiarazione sarà un programma essenziale per il Decennio dei popoli per l’abolizione del nucleare istituito dalla SGI. Siamo determinati a lavorare con un grande numero di persone e organizzazioni allo scopo di promuovere una solidarietà popolare globale volta all’eliminazione completa e definitiva delle armi nucleari dalla faccia della terra.

COSTRUIRE UNA SOLIDARIETÀ GLOBALE

In conclusione, vorrei suggerire che il reale significato del raggiungimento di un mondo libero dalle armi nucleari non si limita affatto alla loro eliminazione fisica. Piuttosto, coinvolge la trasformazione della vera natura degli stati e delle relazioni tra stati.

Albert Einstein insisteva sul fatto che dovremmo affrontare la questione degli armamenti nucleari nello stesso modo in cui agiremmo «se un’epidemia di peste bubbonica stesse minacciando il mondo intero». In simili circostanze, sosteneva Einstein, gli stati «difficilmente solleverebbero obiezioni serie, acconsentendo piuttosto velocemente alle misure da prendere» e sicuramente «non penserebbero mai di cercare di gestire l’argomento in modo tale da risparmiare la propria nazione mentre quella accanto viene decimata».35

In questo scenario, ciò che dovrebbe essere fatto è chiaro e impellente sia da una prospettiva morale ed etica sia da una prospettiva pratica e realistica. Sarebbe palesemente inaccettabile per qualunque stato perseguire la propria sicurezza senza riguardo per gli altri.

Poco più di cent’anni fa Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), il presidente fondatore della Soka Gakkai, propose un nuovo metodo di competizione, la “competizione umanitaria” – in cui «facendo del bene agli altri se ne fa anche a se stessi»36 – come mezzo per superare il conflitto tra le nazioni. Invitò ogni stato a impegnarsi in una rivalità positiva per contribuire al mondo con un’azione umana, per diffondere lo spirito di coesistenza pacifica e costruire una società veramente globale.

Le cinque proposte che ho presentato qui sono tutte radicate nel concetto di Makiguchi di competizione umanitaria, che condivide lo stesso orientamento alla base dell’idea di “iniziativa congiunta” per cambiare «l’inclinazione degli stati a possedere armi nucleari»37 sostenuta da George Shultz e dai suoi coautori. Un simile cambiamento nell’atteggiamento degli stati nucleari è cruciale per creare condizioni in cui sia possibile reindirizzare le ampie risorse finanziarie e umane impiegate nello sviluppo e nel mantenimento delle armi nucleari e usarle per far fronte a sfide globali quali la protezione ecologica e l’alleviamento della povertà.

Martin Luther King Jr. (1929-68) stava senza dubbio esprimendo una visione simile quando dichiarò: «Dobbiamo trasformare le dinamiche della lotta per il potere mondiale da una negativa corsa agli armamenti nucleari che nessuno può vincere a una competizione positiva che sfrutti il genio creativo dell’essere umano per rendere la pace e la prosperità una realtà per tutte le nazioni del mondo».38

Per realizzare la sfida epocale della costruzione di una società globale è indispensabile un forte sostegno da parte della società civile. A questo proposito è opportuno e gradito che la sessantaduesima Conferenza annuale delle ONG, affiliata al Dipartimento della pubblica informazione delle Nazioni Unite, convocata a Città del Messico (9-11 settembre 2009, n.d.t.), esamini il disarmo come tema centrale per la prima volta nella sua storia.

Smettiamola di ignorare deliberatamente la minaccia delle armi nucleari che incombe sulla terra e dimostriamo invece – con chiarezza e attraverso il potere della gente – che un mondo libero da tali ordigni può essere realizzato nel corso della nostra esistenza. Tutti noi possiamo parlare, e agire, in base al sentire comune di tutti gli esseri umani: il desiderio di vivere in pace e di proteggere le persone che amiamo, la ferma decisione di risparmiare sofferenze inutili ai bambini di tutto il mondo.

Ricordo quando Linus C. Pauling (1901-94), i cui successi restano scolpiti nella storia della scienza e della pace del XX secolo, mi raccontò del ruolo che sua moglie aveva svolto nel motivare le sue azioni: «Mi sentivo obbligato a guadagnarmi e a conservarmi il suo rispetto».39 Sono convinto che questi legami umani sono condivisi da tutte le persone e possono servire come essenziale sostegno all’azione.

I membri della SGI presenti in centonovantadue paesi e territori del mondo hanno lavorato per costruire una rete di solidarietà con i propri concittadini. I nostri sforzi sono basati sull’idea che ad aprire i cuori sia principalmente il dialogo. Per quanto lento possa apparire questo processo, siamo convinti che costituisca il sentiero più sicuro verso la pace mondiale.

Il concetto buddista dei “tremila regni in un istante di vita” insegna che in ognuno di noi esiste un illimitato potere o capacità. Quindi un cambiamento nei livelli più profondi della coscienza e dell’impegno del singolo può provocare ondate di trasformazione nell’ambiente circostante e nella società, spronando alla fine le nazioni e persino il mondo intero al cambiamento. Far scaturire questo potenziale illimitato da ogni singolo individuo e incanalarlo nella ricerca della pace è il cuore delle imprese della SGI.

All’interno di ogni essere umano si cela il potenziale per cambiare la propria condizione – in direzione sia positiva che negativa. Ad esempio, la famosa relazione di Einstein tra l’energia e la massa in origine era semplicemente un’equazione nel campo della fisica. Tuttavia gli esseri umani scoprirono in essa la possibilità di sviluppare armi di una crudeltà senza precedenti. Questo progetto fu sviluppato dai governi di tutto il mondo, che usarono tutte le loro forze per creare armi di distruzione totale. Da quel giorno l’umanità è sprofondata nei pericoli dell’era nucleare.

È giunto per noi il momento di applicare questa stessa equazione di Einstein per far sgorgare l’infinito potenziale che esiste nel profondo del cuore di ogni persona e liberare il coraggio e l’azione delle persone comuni per creare un’indomabile forza di pace. In ultima analisi, questo è l’unico modo per porre fine agli incubi nucleari della nostra epoca. In quest’operazione, nessuno ha un ruolo più essenziale dei giovani.

Persino l’ideale più brillante non sarà che un sogno se rimane chiuso nel cuore. Per farlo diventare una realtà concreta occorre confrontarsi e trionfare sui sentimenti di impotenza e rassegnazione. Ciò che serve è il coraggio di intraprendere un’azione. È la passione dei giovani che diffonde la fiamma del coraggio nella società. Questo coraggio, trasmesso da una persona all’altra, può sgretolare i muri scoraggianti delle difficoltà e aprire l’orizzonte su una nuova era nella storia umana.

Basandomi sull’orgogliosa determinazione di rendere la lotta per l’abolizione delle armi nucleari il fondamento di un mondo senza guerra, e convinto che la partecipazione a questa impresa senza precedenti sia il dono più prezioso che possiamo offrire al futuro, invito tutte le persone di buona volontà a lavorare insieme per la realizzazione di un mondo finalmente libero dalla minaccia nucleare.
(tradotto da Cristina Proto)

Note

1) The New Quotable Einstein (Il nuovo Einstein da citare), a cura di Alice Calaprice, Princeton University Press, Princeton, 2005, p. 156.
2) Albert Einstein, Out of My Later Years, Philosophical Library, New York, 1950, p. 190; cfr. Pensieri degli anni difficili, Boringhieri, 1965.
3) Josei Toda, Toda Josei zenshu (Opere complete di Josei Toda), Seikyo Shimbunsha, Tokyo, vol. 3, pp. 408-09.
4) Summit G8, L’Aquila Statement on Non-Proliferation (Dichiarazione sulla non proliferazione a L’Aquila), 2009, http://www.g8italia2009.it/static/G8_Allegato/2._LAquila_Statent_on_Non_proliferation.pdf (ultimo accesso 31 agosto 2009), p. 2.
5) Arnold Toynbee, A Study of History, Oxford University Press, London, 1939, vol. 6, p. 320; cfr. Le civiltà nella storia, Einaudi, 1950.
6) Arnold Toynbee e Daisaku Ikeda, Choose Life (Scegliere la vita), I.B. Tauris, London, 2007, p. 194; cfr. Dialoghi. L’uomo deve scegliere, Bompiani, 1988, p. 211.
7) Arnold Toynbee, Change and Habit: The Challenge of Our Time (Cambiamento e abitudine. La sfida del nostro tempo), Oxford University Press, London, 1966, p. 100.
8) Sidney Lens, The Bomb (La bomba), E. P. Dutton, New York, 1982, p. 8.
9) John F. Kennedy, Commencement Address at American University (Discorso tenuto in occasione della cerimonia di laurea all’American University), 1963, http://www.jfklibrary.org/Historical+Resources/Archives/Reference+Desk/Speeches/JFK/003POF03AmericanUniversity06101963.htm (ultimo accesso 19 agosto 2009).
10) Melvyn P. Leffler, For the Soul of Mankind (Per l’anima dell’umanità), Hill and Wang, New York, 2007, p. 388.
11) Michail Gorbaciov e Daisaku Ikeda, Gorubachofu-shi to katarai (Dialogo con Gorbaciov), Seikyo Shimbun, 20 novembre 2001, pp. 2-3.
12) Barack Obama, The Remarks by President Barack Obama (Le osservazioni del presidente Barack Obama), 2009.
13) Josei Toda, Toda Josei zenshu (Opere complete di Josei Toda), Seikyo Shimbunsha, Tokyo, vol. 4, p. 565; cfr. La rivoluzione umana, Esperia, vol. 12, p. 95.
14) La Pugwash Conferences on Science and World Affairs è un’organizzazione non governativa con sede in Canada, il cui scopo principale è quello di sostenere la compatibilità dello sviluppo scientifico con l’equilibrio geopolitico e pacifico internazionale. L’associazione ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 1995. L’organizzazione prese il nome dal villaggio di pescatori di Pugwash nella Nuova Scozia, dove nel 1957 si tenne il primo incontro per la sua fondazione. Lo spunto che permise la nascita delle Conferenze di Pugwash fu il manifesto redatto nel 1955 da Albert Einstein e Bertrand Russell per convincere i governanti del mondo a valutare l’impatto di una guerra atomica nei confronti dello sviluppo della civiltà umana.
15) Bertrand Russell, Power: A New Social Analysis (Potere: Una nuova analisi sociale), Unwin Books, London, 1975, p. 22.
16) GZ, 430.
17) George L. Butler, On Ridding the World of Nuclear Dangers (Sulla liberazione del mondo dai pericoli nucleari), Discorso di Accettazione del Distinguished Peace Leader Award ricevuto dalla Nuclear Age Peace Foundation, Santa Barbara, California, 30 aprile 1999, http://www.peace.ca/genleespeech.htm (ultimo accesso 4 settembre 2009).
18) ICJ (Corte Internazionale di Giustizia), Public Sitting (Sessione pubblica), 1995, http://www.icj-cij.org/docket/files/95/5943.pdf (ultimo accesso 28 agosto 2009), pp. 72-73.
19) Josei Toda, Toda Josei zenshu (Opere complete di Josei Toda), Seikyo Shimbunsha, Tokyo, vol. 4, p. 565; cfr. La rivoluzione umana, Esperia, vol. 12, p. 95.
20) UN (United Nations), Declaration on the Prohibition of the Use of Nuclear and Thermo-Nuclear Weapons (Dichiarazione sul divieto di usare armi nucleari e termonucleari), Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale, New York, 24 novembre 1961, http://www.un.org/documents/ga/res/16/ares16.htm (ultimo accesso 31 agosto 2009), p. 5.
21) WMDC (Commissione sulle Armi di Distruzione di Massa), Weapons of Terror: Freeing the World of Nuclear, Biological and Chemical Arms (Armi del terrore: liberare il mondo dalle armi nucleari, biologiche e chimiche), 2006, http://www.wmdcommission.org/files/Weapons_of_Terror.pdf (ultimo accesso 28 agosto 2009), p. 60.
22) Josei Toda, Toda Josei zenshu (Opere complete di Josei Toda), Seikyo Shimbunsha, Tokyo, vol. 4, p. 565; cfr. La rivoluzione umana, Esperia, vol. 12, p. 95.
23) Ibidem, vol. 3, p. 290.
24) Ibidem, vol. 4, p. 565.
25) George P. Shultz, William J. Perry, Henry A. Kissinger and Sam Nunn, Toward a Nuclear-Free World (Verso un mondo denuclearizzato), The Wall Street Journal, 15 gennaio 2008, http://online.wsj.com/article/SB120036422673589947.html#printMode (ultimo accesso 28 agosto 2009).
26) UNODA (Agenzia delle Nazioni Unite per le Questioni sul Disarmo), 2000 Review Conference of the Parties to the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons (Conferenza di revisione del 2000 sul trattato di non proliferazione delle armi nucleari), NPT/CONF.2000/28 (Parte I e II), 2000, http://www.un.org/disarmament/WMD/Nuclear/2000-NPT/OfficialDocs2.shtml (ultimo accesso 3 settembre 2009), p. 14.
27) Albert Einstein, Ideas and Opinions, Crown Publishers Inc., New York, 1954, p. 117; cfr. Idee e opinioni, Schwarz, Milano, 1957.
28) Ban Ki-moon, The United Nations and Security in a Nuclear-Weapon-Free World (Le Nazioni Unite e la sicurezza in un mondo libero dalle armi nucleari), 2008, http://www.un.org/apps/news/infocus/sgspeeches/print_full.asp? statID=351 (ultimo accesso 28 agosto 2009).
29) Helmut Schmidt, Richard von Weizsäcker, Egon Bahr e Hans-Dietrich Genscher, Toward a Nuclear-Free World: A German View (Verso un mondo denuclearizzato: una prospettiva tedesca), The New York Times, 9 gennaio 2009, http://www.nytimes.com/2009/01/09/opinion/09iht-edschmidt.1. 19226604.html?pagewanted=print (ultimo accesso 31 agosto 2009).
30) John K. Galbraith e Daisaku Ikeda, Ningenshugi no daiseiki wo (Il grande secolo dell’umanesimo), Ushio Shuppansha, Tokyo, 2005, pp. 171-72.
31) SGI (Soka Gakkai International), Testimonies of Hiroshima and Nagasaki: Women Speak Out for Peace (Testimoni di Hiroshima e Nagasaki. Le donne parlano a favore della pace), 2009,http://www.peoplesdecade.org/involved/dvd.html (ultimo accesso 3 settembre 2009).
32) MFAPRC (Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese), Joint Statement of the Fourth Round of the Six-Party Talks (Dichiarazione congiunta del quarto giro di colloqui a sei), 2005, http://www.fmprc.gov.cn/eng/zxxx/t212707.htm (ultimo accesso 3 settembre 2009).
33) ICAN (Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari), Securing Our Survival (SOS): The Case for a Nuclear Weapons Convention (Salvaguardare la nostra sopravvivenza: il perché di una convenzione sulle armi nucleari), 2007. http://www.icanw.org/securing-our-survival (ultimo accesso 19 agosto 2009), p. 46.
34) Rebecca Johnson, Security Assurances for Everyone: A New Approach to Deterring the Use of Nuclear Weapons (Garanzie di sicurezza per tutti: un nuovo approccio alla deterrenza dell’uso di armi nucleari), Disarmament Diplomacy, Spring 2009, http://www.acronym.org.uk/dd/dd90/90sa.htm (ultimo accesso 19 agosto 2009).
35) Albert Einstein, Out of My Later Years. Philosophical Library, New York, 1965, p. 204; cfr. Pensieri degli anni difficili, Boringhieri.
36) Tsunesaburo Makiguchi, Makiguchi Tsunesaburo zenshu (Opere complete di Tsunesaburo Makiguchi), Daisan Bunmeisha, Tokyo, 1981-97, vol. 2, p. 399.
37) Shultz e al., A World Free of Nuclear Weapons (Un mondo libero dagli armamenti nucleari), The Wall Street Journal, 4 gennaio 2007, http://www.fcnl.org/issues/item_print.php?item_id=2252&issue_id=54 (ultimo accesso 21 agosto 2009).
38) Martin L. King, The Quest for Peace and Justice (La ricerca di pace e giustizia), 1964, http://nobelprize.org/nobel_prizes/peace/laureates/1964/king-lecture.html (ultimo accesso 21 agosto 2009).
39) Linus Pauling e Daisaku Ikeda, A Lifelong Quest for Peace (Una ricerca della pace lunga un’intera vita), I.B. Tauris., London, 2009, p. 66.