Intervista a Beatrice Fihn

09/02/2018

Intervista a Beatrice Fihn – Direttrice esecutiva di Ican, premio Nobel per la pace 2017

Roma, 9 novembre 2017. Alla vigilia dello storico simposio “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per il disarmo integrale” voluto da Papa Francesco e organizzato dal Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale della Città del Vaticano, che ha visto premi Nobel per la pace, rappresentanti della società civile, scienziati e accademici, esponenti del mondo religioso, studenti, rappresentanti delle istituzioni e delle organizzazioni internazionali discutere e dichiarare uniti la possibilità di una pace basata sulla sicurezza umana, abbiamo incontrato assieme alla redazione di Buddismo e Società che ringraziamo per questa intervista, Beatrice Fihn presso la sede di Archivio Disarmo, storico istituto di ricerca che dal 1982 studia i problemi del controllo degli armamenti, della pace e della sicurezza internazionale.

Chi è la giovane e determinata rappresentante di ICAN, la Campagna Internazionale per la messa al bando delle armi nucleari, che riunisce oltre 450 gruppi della società civile di 101 paesi del mondo, vincitrice del premio Nobel per la pace 2017?  Come racconta nell’intervista, il suo interesse per le questioni globali è iniziato presto. All’università di Stoccolma si è laureata in relazioni internazionali, con focus in risoluzione dei conflitti e potenze nucleari, che ha messo subito in pratica con uno stage alla sede svedese della Lega Internazionale delle Donne per la Pace e per la Libertà (WILPF), collaborando a una conferenza Onu in Svizzera sul disarmo e attraverso il lavoro al Centro di Ginevra per le politiche di sicurezza. Laureata poi in Diritto internazionale a Londra, dal 2006 è impegnata su questioni del disarmo e delle negoziazioni multilaterali e dal 2014 è direttrice esecutiva di Ican.

 

Se dovessi delineare per tappe la tua vita, quali sono stati gli snodi biografici che 37 anni dopo hanno portato fino qui quella bambina nata in Svezia nell’82? Quando hai deciso che questa sarebbe stata la tua missione?

Sono sempre stata interessata alla politica e alle questioni internazionali, la mia famiglia era molto impegnata nella società. A casa abbiamo sempre parlato di politica, i miei genitori erano radicali di sinistra, negli anni 60-70 avevano lottato contro la guerra in Vietnam e partecipato al movimento studentesco. Questo è stato il background culturale in cui sono cresciuta.

Inoltre la Svezia è un piccolo paese, le altre nazioni per noi sono molto importanti. Non siamo gli Stati Uniti, dipendiamo dagli altri Stati, quindi l’attenzione al resto del mondo è stata centrale nella mia formazione. Perciò ho studiato relazioni internazionali, e sono stata subito affascinata dai temi relativi al disarmo, che ovviamente erano all’ordine del giorno nelle discipline che ho approfondito.

E poi ho incontrato Susi (Susi Snyder, presidente del comitato di coordinamento di Ican). Questo è stato il mio momento, il momento fondamentale. Collaborare con lei mi ha cambiato la vita.

 

Al segretario di un’associazione antifascista che le chiedeva un contributo in denaro per sostenere la lotta contro il nazismo, la scrittrice britannica Virginia Wolf risponde con il libro Le tre ghinee, in cui gli dice: «Ma è chiaro che la risposta alla vostra richiesta non può essere che una: il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non è ripetere le vostre parole e i vostri metodi, ma trovare nuove parole e inventare nuovi metodi». In Ican c’è questa ispirazione a seguire nuove strade? C’è ad esempio una specificità femminile nella vostra lotta?

Assolutamente sì. Penso che quando nelle negoziazioni di pace includiamo le donne, tutto funziona meglio. Non credo che di base le donne siano così differenti dagli uomini, ma siamo allenate ad avere una diversa scala di valori. Nel prendersi cura della famiglia, di coloro che soffrono di più, nel prendersi cura della società, le donne hanno un ruolo fondamentale. Stiamo vedendo chiaramente come le risposte maschili ai conflitti siano quelle di bombardare. Mentre i metodi delle donne sono negoziare, trovare un compromesso, arrivare a un accordo.

Penso che come comunità internazionale stiamo imparando il valore delle negoziazioni. Questa è una cosa forte, non è una cosa debole. È un potere, una manifestazione di forza questo saper negoziare. È una prospettiva molto diversa.

 

Quanto ha contato, per l’approvazione del Trattato sul divieto delle armi nucleari approvato il 7 luglio scorso e per il conferimento del premio Nobel per la pace, l’aver spostato la questione delle armi nucleari dal piano politico strategico alle conseguenze umanitarie del loro uso?

Io penso che questo cambiamento di direzione sia stato veramente molto importante. Invece di ripetere cose che hanno fallito fino a ora, abbiamo considerato i processi che hanno avuto successo. Le campagne per l’abolizione delle mine anti persona e delle bombe a grappolo hanno avuto successo perché hanno aggregato i movimenti della società civile sulle conseguenze umanitarie di tali ordigni, che continuano a uccidere a distanza di decenni dalla fine di una guerra o infliggono sofferenze indicibili a chi ne è colpito. E quindi abbiamo ripetuto questa formula. Inoltre, anche per quanto riguarda la lotta contro le armi nucleari, le campagne che di solito hanno funzionato sono state sempre basate sulla preoccupazione per gli esseri umani. Ad esempio il movimento del 1980 contro gli esperimenti atomici si concentrava sulle conseguenze ambientali in atmosfera, sugli effetti sulla salute dei bambini. Abbiamo ripetuto questo tipo di approccio, che aveva funzionato precedentemente. E abbiamo visto che quando ci concentriamo sugli esseri umani e non sugli Stati progrediamo.

 

La sua esperienza di giovane donna che ha realizzato insieme ad altri un risultato così importante è certamente di incoraggiamento a chi, giovane, non crede in grandi ideali o ha perso la fiducia di realizzarli. Dove trova la forza di rilanciare ogni volta per reagire ai venti contrari?

La mia forza e il mio coraggio emergono soprattutto dalla relazione con i miei colleghi, dalla rete. Ci sono persone veramente di talento e appassionate che lavorano con Ican da tutto il mondo. Quando ci incontriamo, in queste riunioni c’è veramente un’atmosfera bellissima. Tutti si divertono, lo fanno con gioia. Non è tanto il fine, ma è il processo che utilizziamo che ci rende felici.

Ican ha dato veramente spazio ai giovani, ma non per mandarli avanti allo scopo di avere un po’ più di attenzione mediatica. Sono proprio loro i protagonisti. È stato veramente d’ispirazione vedere questi ragazzi e queste ragazze che lavorano in prima linea, e le reazioni degli Stati a questo tipo di approccio.

Noi parliamo di una campagna mondiale, ma in realtà se andiamo poi a tirare le somme non è che siano così tante le persone coinvolte. È veramente fantastico come un gruppo di persone normali, senza potere, nemmeno così numerose, riesca a spostare le posizioni dei potenti nel mondo e vincere anche su queste.

Quando siamo insieme la sensazione è che non vi sia nulla che non possiamo realizzare.  È importante che le persone credano e capiscano che possiamo fare qualcosa. E non solo sulle armi nucleari ma su tutte le questioni. La politica non è solo per le persone che stanno al top, noi diamo loro il potere e noi ce lo possiamo riprendere.