La generazione nucleare è ben più brutale dei condottieri del passato

01/02/2017

Di Jamshed Baruah

STOCCOLMA (IDN-INPS) – “Si dice che i condottieri del passato, come Attila o Gengis Khan, fossero soliti affermare che nemmeno un cane, un gatto o un topo sarebbero sopravvissuti alla distruzione delle città che avessero osato sfidarli. La nostra generazione con in mano armi nucleari è ben più brutale e primitiva di quei condottieri del passato, per quanto feroci potessero essere”. Sono parole del giudice Christopher Gregory Weeramantry rilasciate in un’intervista del 2007, dieci anni prima della sua morte avvenuta a Colombo (Sri Lanka) il 5 gennaio. Il giudice aveva novant’anni.

L’intervista assume particolare rilievo sullo sfondo della conferma, da parte dell’Assemblea generale dell’ONU, che dal prossimo marzo si terrà una conferenza aperta a tutti gli stati membri al fine di negoziare uno “strumento giuridicamente vincolante che vieti le armi nucleari, portando alla loro totale eliminazione”. La conferenza si svolgerà presso il quartier generale dell’ONU a New York e sarà divisa in due sessioni: la prima dal 27 al 31 marzo e la seconda dal 15 giugno al 7 luglio.

Weeramantry è stato Vice Presidente della Corte internazionale di giustizia dell’Aia dal 1991 al 2000, Consigliere onorario del World Future Council, e Presidente dell’International Association of Lawyers Against Nuclear Arms (Associazione internazionale degli avvocati contro le armi nucleari, IALANA).

Di seguito riportiamo alcuni estratti di un’intervista da lui rilasciata alla Right Livelihood Award Foundation nel 2007, in occasione della cerimonia in cui fu insignito del Right Livelihood Award “per aver lavorato con spirito pionieristico tutta la vita allo scopo di rafforzare ed espandere l’ordinamento giuridico internazionale”. L’intervista è stata riproposta dallo Sri Lanka Guardian lo scorso 6 gennaio.

 

Domanda: Cosa ha provato quando i suoi colleghi giudici della Corte internazionale di giustizia hanno legiferato a favore della legittimità di utilizzare armi nucleari per ragioni di difesa quando è in gioco la sopravvivenza dello stato?

Risposta: La maggior parte dei giudici della Corte internazionale non ha legiferato a favore della legittimità di utilizzare armi nucleari per ragioni di difesa quando è in gioco la sopravvivenza dello stato. Ciò che hanno fatto è lasciare la questione aperta, senza deliberare in un senso o nell’altro, dichiarando illegale l’utilizzo di armi nucleari in qualunque altra circostanza. Il mio dissenso nei loro confronti riguardava il non voler lasciare il minimo spazio alla possibilità di utilizzare armi nucleari.

Sentivo che se fosse stato lasciato aperto anche un solo spiraglio riguardo un possibile impiego legale di queste armi, ciò avrebbe fornito alle potenze nucleari una scusa per mantenere i propri arsenali, impedendo di fatto la totale eliminazione delle armi atomiche.

Dopo tutto, qualunque impiego di armi nucleari in qualunque circostanza violerebbe ogni legge di diritto umanitario a cui siamo arrivati dopo secoli di guerra e il sacrificio di milioni di vite. Non esiste motivazione alcuna che giustifichi l’uccisione indiscriminata di un altissimo numero di persone, tra cui donne, bambini, anziani e infermi, la distruzione di tutti i tesori storici e archeologici, l’inquinamento della terra, dell’aria e dell’acqua per decine di migliaia di anni e l’eliminazione di tutte le forme di vita nell’area colpita.

Dal punto di vista della genetica, ciò produrrebbe effetti avversi per innumerevoli generazioni a venire. L’intensificazione del conflitto a causa di una controffensiva nucleare, cosa che non poteva accadere ad Hiroshima e Nagasaki, la generazione di un inverno nucleare causato dall’oscuramento della luce solare per via dei detriti atomici, e la possibile eliminazione di ogni forma di vita sulla Terra sono altre tra le conseguenze che dobbiamo sempre tenere a mente.

Nessuna circostanza potrebbe giustificare tutto questo. Il genere umano rimarrà dannato fin quando non verrà rimossa questa incognita che minaccia il suo futuro. Per raggiungere tale scopo era necessario [sancire] il divieto totale in qualunque circostanza, ed è per questo che ero così risoluto nel sostenere la completa illegalità [dell’impiego di armi nucleari] in qualsiasi situazione.

D: Gli stati che detengono armi nucleari sono criminali?

R: L’uso di armi nucleari offende tutti i principi fondamentali del diritto umanitario. Qualora l’ordine mondiale sopravvivesse al lancio di un’atomica, e qualora l’aver impiegato tale arma diventasse pertanto materia di decisione giudiziaria, gli stati ad averla impiegata sarebbero senza dubbio accusati di aver commesso un atto criminale.

Chiaramente presumendo che il tribunale non sia composto dagli stati vincitori (qualora sopravvissuti) per citare in giudizio i vinti ma che si tratti di una corte indipendente e imparziale. La teoria dell’autodifesa, che può essere valida in tribunale se si considera la condotta di un singolo individuo, non regge nel caso in cui l’atto di autodifesa provochi morte e distruzione di terze parti, un numero incalcolabile di vittime, danneggi perfino le generazioni a venire e causi una devastazione ambientale irreversibile. Sarebbe un atto criminale anche nel senso che sarebbe un crimine nei confronti delle generazioni future.

Gli stati che detengono armi nucleari se ne dotano e difendono i propri arsenali convinti che ciò funzioni come deterrente, negando l’intenzione di farne uso. Tuttavia, un’analisi attenta di questa argomentazione dimostra che, al di là di quanto si afferma, l’intenzione è quella di utilizzare un’arma nucleare nel caso in cui se ne presenti l’occasione. Continuo a sostenere che uno stato che utilizza armi nucleari, in qualunque tipo di circostanza, diventa inevitabilmente responsabile di quelli che sono probabilmente i peggiori atti criminali mai visti nella storia dell’umanità.

Se questi stati impiegassero tali armi, commetterebbero inequivocabilmente un atto criminale. Finché non le utilizzano non si arriverà a quel punto; ma se hanno intenzione di usarle qualora se ne presenti l’occasione, allora sono intenzionati a commettere un atto criminale senza ombra di dubbio. Qualunque sia l’intenzione, di per sé – se non accompagnata da azione – non è un crimine. Ma anche se in termini giuridici non costituisse un crimine, in termini morali ed etici sarebbe causa dell’intenzione di commettere un atto criminale.

Inoltre, il mantenimento di un arsenale nucleare implica la costruzione, il perfezionamento e il test di queste armi prima di un loro effettivo impiego. Ciò causa un danno ambientale sia nell’immediato che potenzialmente, danno che può durare migliaia di anni. È veramente un atto che causa un danneggiamento concreto ed è quindi deprecabile sia moralmente che giuridicamente.

Si dice che i condottieri del passato, come Attila o Gengis Khan, fossero soliti affermare che nemmeno un cane, un gatto o un topo sarebbero sopravvissuti alla distruzione delle città che avessero osato sfidarli. La nostra generazione con in mano armi nucleari è ben più brutale e primitiva di quei condottieri del passato, per quanto feroci potessero essere.

Spingeremmo la nostra crudeltà ben più oltre la loro, perché elimineremmo ogni traccia di vita fino al più piccolo verme, formica o insetto presente in qualsiasi territorio che osasse sfidarci. Ciò supererebbe qualsiasi voce all’interno dell’“oscuro e doloroso catalogo del crimine umano”.

D: Si è mai considerato un uomo politico oltre che un giudice?

R: Da giudice mi sono sempre sforzato al massimo delle mie possibilità per fare rispettare la legge ed estenderne il campo di applicazione, rendendola uno strumento più efficace di giustizia internazionale. Alcuni politici a loro volta cercano attraverso il loro operato di creare un mondo dove la giustizia prevalga. Tanto il diritto quanto la politica mirano al raggiungimento di una condizione umana in cui la giustizia prevalga. È frequente che politica e diritto abbiano degli obiettivi in comune. Qualsiasi azione io abbia compiuto come giudice è sempre ricaduta all’interno dell’ambito di applicazione del diritto così come io lo concepisco.

Avvocati e giudici hanno uno specifico ambito di attività, così come i politici. In un mondo ideale entrambe le categorie dovrebbero lottare con mezzi differenti per raggiungere l’obiettivo comune del benessere umano.

D: Qual è la decisione giudiziaria più importante che ha mai preso?

R: Ritengo che la sentenza più importante a cui sia mai stata chiamata la Corte sia stata quella richiesta dall’Assemblea generale sull’illegalità delle armi nucleari. Si è trattato di una decisione che avrebbe potuto cambiare il futuro dell’umanità e della civiltà. Allo stesso tempo ci sono state molte altre sentenze di grandissima rilevanza, su argomenti quali lo sviluppo sostenibile o i poteri del Consiglio di sicurezza. Le decisioni della Corte hanno evitato molti potenziali conflitti armati.

La sentenza sulle armi nucleari però generò un tale interesse a livello mondiale che la Corte ricevette petizioni e memoriali sottoscritti da così tanti milioni di persone che nei nostri archivi non c’era spazio sufficiente per sistemarli. Molti li abbiamo dovuti archiviare altrove. Si trattò inoltre del caso nella storia della Corte in cui il maggior numero di stati prese attivamente parte ai procedimenti.

D: Ha dichiarato che il diritto internazionale ha radici – spesso molto antiche – in vari paesi. Potrebbe farci qualche esempio?

R: Il diritto internazionale non è un’invenzione moderna, né il prodotto di una singola civiltà. Dall’alba dei popoli, quattromila o cinquemila anni fa, i grandi pensatori di ogni epoca hanno immaginato una comunità mondiale di nazioni che vivevano secondo un sistema generale di diritto a cui tutti gli stati e le loro leggi dovevano rifarsi.

Nel caso delle armi nucleari, per esempio, ho sostenuto la tesi della loro illegalità attingendo al diritto indù di oltre quattromila anni fa, secondo il quale un’arma estremamente distruttiva, capace di devastare i campi del nemico e distruggere larga parte della sua popolazione, non poteva essere utilizzata durante i conflitti poiché andava al di là dello scopo stesso della guerra.

La guerra ha come fine quello di assoggettare il proprio nemico e poi convivere pacificamente, non devastare le sue terre e distruggere la sua gente. Questo è stato il consiglio dato al principe indiano Rama quando i suoi generali lo informarono che una simile arma era disponibile, e lui lo seguì. I testi di diritto indù sono ricchi di elaborate regole di condotta in tempo di guerra e doveri dei governanti in tempo di pace.

Allo stesso modo, la cultura islamica è ricca di concetti e scritti che riguardano ciò che oggi chiamiamo diritto internazionale – il trattamento dei prigionieri di guerra, la condotta sui campi di battaglia, l’inviolabilità dei trattati, la posizione di privilegio dei diplomatici e così via.

Questi temi erano approfonditamente discussi sulla base del Sacro Corano e delle tradizioni narrative del profeta Maometto note come Hadith. Le tesi erano poi raccolte in trattati di diritto internazionale da autori come Al Shaibani, attivo circa otto secoli prima di Hugo Grotius, il celebre giurista olandese la cui immensa opera De iure belli ac pacis del 1625 è spesso considerata il punto di inizio del moderno diritto internazionale.

Uno dei temi più rilevanti del diritto internazionale moderno è la legislazione per lo sviluppo sostenibile. Ebbene, la conservazione lungimirante dell’ambiente a beneficio delle generazioni future è stata propugnata e praticata da molte culture antiche: la cultura degli aborigeni di trentamila o quarantamila anni fa mostrava già un profondo rispetto e reverenza per l’ambiente e per Madre Natura che tutti ci sostiene.

Se l’ambiente prospera, la comunità ne giova di conseguenza, mentre se esso viene danneggiato, è l’intera comunità a essere in pericolo. La salvaguardia dell’ambiente ha richiesto l’elaborazione di leggi complesse. Anche i nativi americani seguivano il principio che non si potesse prendere nessuna decisione importante su questioni ambientali senza considerare gli interessi delle sette generazioni successive. Una decisione che trascuri questo punto di vista sarebbe stata poco equilibrata e osservando una qualsiasi cultura antica si noterà che tutte avevano elaborato dei sistemi per assicurare che ciò non avvenisse.

D: Il punto di vista di un giudice cingalese è diverso da quello di un giudice occidentale? (Quanto è internazionale il diritto internazionale?)

R: Il punto di vista di un giudice cingalese è diverso da quello di un giudice occidentale perché il primo vive in una società interculturale.

Nello Sri Lanka cresciamo nel mezzo delle quattro grandi religioni – Induismo, Buddismo, Cristianesimo e Islam – ognuna delle quali vanta un gran numero di fedeli. Cresciamo tutti immersi gli uni nella cultura degli altri, partecipiamo alle varie festività e apprezziamo l’amicizia dei nostri vicini. Un giudice occidentale tendenzialmente cresce in un ambiente monoculturale e non ha la stessa molteplicità di tradizioni.

Nell’amministrare la giustizia, la nostra molteplicità di tradizioni dà al giudice cingalese il vantaggio di potere attingere a varie culture e punti di vista.

Questo può accadere a un giudice occidentale, ma si tratta ancora di un numero esiguo di casi.

Ritengo che il diritto possa compiere enormi progressi, soprattutto quelli necessari ad affrontare le sfide del ventunesimo secolo, in cui stiamo diventando cittadini globali che hanno in comune problemi come l’ambiente, il sogno di un mondo pacifico e un sistema di valori universalmente condivisi. Una formazione interculturale può essere estremamente utile ad arricchire l’ordinamento giuridico. [IDN-InDepthNews – 14 January 2017]

 

fonte: http://www.indepthnews.net/index.php?option=com_content&view=article&id=905:nuke-generation-far-more-brutal-than-past-conquerors&catid=8,71,9:nuclear-abolition&Itemid=108